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Guerra dei Balcani: 30 anni dopo 
A quasi 30 anni dal conflitto fratricida i Balcani soffrono ancora

La guerra civile Jugoslava ha lasciato delle ferite profonde in tutto il territorio dei Balcani e, a quasi trent’anni 
da quello struggente conflitto, alcune di esse sono ancora aperte. Questo reportage ha l’obbiettivo di mostrare 
la relazione che gli slavi hanno col passato recente, fatto di stati caduti e guerre che hanno coinvolto la quasi totalità del loro territorio.​​​​​​​
La nazione, a stampo comunista, ebbe una crescita esponenziale in ogni settore tra gli anni ’60 e gli anni ’80. Vennero costruite strade, ponti e l’urbanizzazione crebbe a dismisura. Tuttavia il sistema messo insieme da Tito funzionava solo con a capo un leader forte e in grado di tenere a bada tutte le divergenze che le varie etnie 
si portavano dietro da ormai secoli. In passato gli scontri tra i vari popoli non erano mancati e questi non erano stati facilmente dimenticati. 
In Jugoslavia infatti convivevano tre grandi religioni (ortodossia, cattolicesimo e islam), più ovviamente i casi minori. Queste corrispondevano a etnie diverse che si erano raggruppate in territori ben precisi. 
Ciò ha fatto si che all’inizio degli anni ’90, quando i movimenti indipendentisti interni si fecero più grandi raccogliendo sempre più consenso, le identità nazionali fossero già formate, andando a marcare ancora 
più profondamente le diversità tra le varie etnie.
Così nel giugno del 1991 la Slovenia non esitò a dichiararsi indipendente, seguita immediatamente 
dalla Croazia, dando così inizio alle Guerre Jugoslave. 
Negli anni successivi i conflitti sorsero in tutto il territorio dei Balcani, estendendosi anche alle repubbliche 
che inizialmente erano rimaste pacifiche. I nuovi stati si divisero in due macro-gruppi: uno filo-serbo jugoslavo, supportato dalla Russia; l’altro composto dalle etnie separatiste (croati, bosgnacchi, kosovari e albanesi). Tuttavia le alleanze erano solo una facciata, di fatto era un tutti contro tutti, con le varie parti che cercavano 
di accaparrarsi più territorio possibile. 
Il conflitto andò avanti fino al 1995, quattro anni durante i quali l’intervento della NATO a favore dei “ribelli” risultò decisivo. Fu una guerra atroce, fratricida come l’hanno affermata in molti.
Il focolaio della guerra si spostò successivamente più a sud, andando a coinvolgere la Macedonia, la Serbia 
e le forze indipendentiste filo-albanesi del Kosovo (UÇK). Gli scontri su questo fronte andarono avanti fino 
al 2001. 
Gli schieramenti vedevano alleate Serbia e Macedonia mentre l’UÇK era supportato dall’Albania e dalla NATO. La Serbia ne uscì nuovamente sconfitta e subì delle pesanti sanzioni che ne hanno turbato la crescita economica, con ripercussioni evidenti tuttora (sono migliaia i villaggi sparsi per le campagna dove il tasso 
di analfabetismo è quasi il 100% e dove mancano acqua e beni primari). I segni della guerra si possono vedere ancora oggi. Negli anni ’90 il flusso di migranti che lasciavano i Balcani si quintuplicò, raggiungendo il picco 
nel 2000, quando quasi un milione di kosovari albanesi fu costretta a lasciare le proprie case. 
L’intervento della NATO ha inasprito ancora di più i rapporti tra la Serbia e gli USA e tutti gli stati che hanno richiesto l’aiuto dei "caschi blu" durante il conflitto. La presenza delle forze armate dell’ONU sul territorio kosovaro (dichiaratosi indipendente nel 2008) prosegue tuttora, con basi sparse qua e là tra le montagne, 
a monitorare costantemente la situazione.
Le cicatrici, l’odio razziale, la distruzione, le ingiustizie. Tutto ciò, a distanza di quasi trent’anni da quel Giugno 1991, è ancora ampiamente visibile sia nelle persone che nel territorio che le circonda, creando rancore 
e risentimento che non sembrano avere fine.
“Perché non vogliamo dimenticare quello che ci hanno fatto”.
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